E VISSERO FELICI E CONTENTI

e_vissero_felici_e_contentiAffilati coltelli e bottiglie incendiare sono diventati negli ultimi tempi l’incubo di ragazzi che non chiedono l’impossibile: solo il diritto di vivere e di dimenticare, il tempo di una sera, che al mondo sono considerati diversi.
Credo che i bar, le discoteche, i ritrovi che attirano tanti gay siano l’occasione di sentirsi per un momento uguali. Uguali tra di loro.

Non posso sapere il motivo esatto di questi gesti di violenza. Mi rende però triste constatare che non si trova una soluzione. Ho una mia intima convinzione, secondo cui un riconoscimento da parte dello Stato del gay come parte integrante della società, anche in quanto persona degna di amare e proteggere i suoi legami, potrà essere l’unica soluzione.

Penso alle leggi che hanno regolarizzato l’aborto e il divorzio. Sono convinto che grande sia stato il loro contributo nel migliorare l’immagine della donna che avesse ricorso ad un aborto o che avesse divorziato. Prima di quelle leggi, e certamente, ma fortunatamente, sempre meno col passare del tempo, quelle donne si sono trasformate da puttane in persone con diritto di scelta.

Ecco, penso che questo sia lo shock culturale di cui l’Italia avrebbe bisogno in questo momento: il matrimonio gay.

UN CALCIATORE NEMICO DEGLI ULTRA’ E’ UN CALCIATORE MORTO

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“Tu fatti i cazzi tuoi e pensa a giocare”. Ma si sono messi tutti d’accordo? Stavolta però a ricordarmi il mio “dovere” non è un elegante quarantacinquenne in giacca e cravatta. Chi mi sta di fronte, stavolta, è un quarantacinquenne che mi fa paura.

Giovedì sera, o meglio, giovedi notte. Il mio compagno L. ci ha invitati a cena per festeggiare il suo compleanno. Abbiamo tirato tardi e abbiamo bevuto tanto. Non troppo: tanto. A mezzanotte siamo usciti dal ristorante ma L. di andare a casa non ne voleva sapere. Ha venticinque anni, un sacco di soldi ed è il suo compleanno. C’è da capirlo. Assieme a un altro compagno, uno straniero arrivato quest’anno che in Italia sembra aver scoperto che non esiste solo il pallone, siamo andati in un locale di quelli un po’ fighetti. Niente di speciale, musica più o meno a palla, ragazze che mostrano le loro doti migliori e quella dose d’alcol che ti fa passare dall’aver bevuto tanto all’aver bevuto troppo.

A un certo punto L. si alza per andare a ordinare un nuovo giro. Trenta secondi dopo è steso per terra. Che cazzo è successo? E’ successo che ha preso un pugno sul naso e che per terrà c’è una specie di pozzanghera di sangue. Mi alzo di scatto. “Tu fatti i cazzi tuoi e pensa a giocare”. A dirmelo è uno dei capi storici degli ultrà della nostra squadra. Uno che di lavoro fa il capo della curva. Uno che la società ufficialmente sostiene di non conoscere ma al quale eroga ogni domenica decine di biglietti gratuiti, che lui gira a prezzo scontato ai suoi amici ultrà. La società non vuole casini allo stadio, perché i casini portano le multe e gli articoli sui giornali. Quindi sgancia i biglietti gratis e tollera la vendita di magliette, sciarpe e adesivi all’interno dello stadio, altro business occulto che frutta un bel po’ di soldi. Quello che ha steso L. vive così, e pare viva bene, a giudicare da come si veste: quel casual elegante che non riesce tuttavia a mascherare il suo atteggiamento da pappone.

Perché se l’è presa con il mio compagno? Non so cosa si sono detti ma di sicuro gli avrà fatto notare che un calciatore della nostra squadra non deve farsi vedere in giro ubriaco alle tre di notte. Quello che mi sta sul cazzo non è tanto che un tifoso si permetta di dare lezioni di vita, ma il fatto che gli ultrà hanno il potere di rovinare la vita di un calciatore. Ti aspettano fuori alla fine degli allenamenti e ti dicono le paroline giuste. Poi, se non capisci, premono perché tu venga ceduto. E la società non vuole casini: se non sei un campione è meglio accontentare gli ultrà. Ma la cosa che davvero non sopporto è il fatto che, ufficialmente, noi calciatori adoriamo gli ultrà. Avete mai letto un’intervista critica nei confronti del tifo organizzato? La verità è che se un calciatore potesse dire quel che pensa veramente direbbe che senza gli ultrà si starebbe tutti più tranquilli. Invece siamo costretti all’ipocrisia, a partire dal presidente. E’ vero che in curva c’è tanta passione per la squadra, che gli ultrà si fanno tutte le trasferte per incitarci. Non è una cosa che lascia indifferenti. Però ne faremmo volentieri a meno, giocatori e società, se potessimo anche fare a meno degli striscioni con scritto “andate a lavorare”, delle macchine rigate e di scene come quella a cui sto assistendo.

Anche perché se reagisco, se dico qualcosa, per quest’anno ho finito di vivere. Un giocatore che diventa nemico degli ultrà è un giocatore morto. Specie se non è uno che fa la differenza. Come me. L. si rialza toccandosi quel che resta del suo naso. Io riesco solo a chiedergli “come stai?”. Il suo “amico” se n’è già andato. Domani dirà a tutti che non ho avuto le palle per reagire. Sempre meglio che diventare un nemico degli ultrà.

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L’AMICO DEI CALCIATORI

l'amico dei calciatori

Solito lunedì pomeriggio a Milano. Più per noia che altro.
Posteggio nel garage sotterraneo in San Babila e mi dirigo da D&G. Banale, lo so, ma io sono uno dai gusti banali. Il Rolex, il Cayenne, non mi piace osare. Me li posso permettere e so che con quelli faccio la mia figura. Quest’anno va di moda la Bentley. A parte che costa molto di più, ma soprattutto mi sembra una cosa passeggera: l’anno prossimo con la Bentley ti rideranno dietro. Si fa per dire, ovviamente: non è che puoi ridere dietro a uno che guida una macchina così. Al massimo lo invidi. Per D&G vale lo stesso discorso: non ho abbastanza gusto, diciamocelo, per decidere con la mia testa, e allora so che lì non sbaglio.
Mi ci ha portato Ciccio, anche lui ha il conto lì. Mi ha detto che mi avrebbero fatto un bello sconto, come se un miliardario avesse bisogno dello sconto. Ciccio non so neanche come si chiami davvero. Ho il suo numero di cellulare e so vagamente dove abita. Lui di mestiere fa l’amico dei calciatori. In pratica ti aggancia senza fatica, visto che sei un personaggio famoso non serve una scusa per parlarti, e comincia a invitarti nei locali gestiti dagli amici suoi. Poi ti presenta qualche bella ragazza alla ricerca di un calciatore (o di un riccone qualsiasi, non è che per forza devi saper tirare le punizioni, ma se sei fisicamente in forma parti avvantaggiato) e, se vuoi, ti offre qualche tiro di coca. Se ti piace e se non hai già un pusher di fiducia, lui lo diventa.
Ma Ciccio non è uno spacciatore. Se non facesse ridere potrebbe dire in giro che si occupa di “servizi per calciatori”. Cosa ci guadagna? Semplice: questi ricambiano invitandolo alle loro feste, gli permettono di farsi vedere in giro con gente famosa e gli procurano altri contatti. Lui di questo ci vive, non da nababbo ma ci vive. Ed è sempre meglio che alzarsi alle sei per andare in fabbrica. Fa parte dell’indotto, insomma, come chi vende sciarpe fuori dallo stadio.
Sabri me l’ha presentata lui. Non si può dire che stiamo insieme, anche se i giornali di gossip dicono così. Non che ci diano la copertina, ovviamente: solo qualche fotina con didascalia ogni tanto. “Numero 12 e Sabri al Twiga”. Cose così, non è che facciamo notizia. Io sono un calciatore qualunque e lei una quasi coetanea che quasi dieci anni fa è stata una paperetta a Paperissima. Capirai.
Ieri per fortuna ho giocato. Quando sei in scadenza di contratto è importante. Tutti voti sopra il sei (non molto, in verità) sui tre quotidiani sportivi. “Io non leggo i quotidiani e non guardo mai i miei voti” dicono tutti. Cazzate. Tutti li leggiamo e i nostri voti sono la cosa che ci interessa di più. Non vedo come potrebbe essere altrimenti.
Mi sono divertito, nei giorni scorsi, a leggere i commenti al mio primo post. Forse non mi ero spiegato bene: quella del numero 12 era solo un’immagine. Non sono davvero un portiere di riserva, ma volevo far capire che sono uno di quelli che tutti sanno che c’è ma nessuno nota, sempre pronto a entrare ma mai decisivo. Proprio come ieri.
“Grande numero 12”, mi ha gridato un tifoso quando siamo usciti dal campo. Ma aveva lo stesso tono che si riserva a quei bambini un po’ lenti che ogni tanto ti stupiscono per la loro prontezza di riflessi. Mi ha messo tristezza, e non mi è ancora passata. Mi sa che ci vorrà un bel tiro, più tardi. Tanto alla prossima partita manca una settimana e l’eventuale antidoping è ancora lontano. In una settimana, se non esageri, fai a tempo a smaltire tutto. E io non esagero. Io sono un numero 12.

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